Ipazia

Partiamo dalla fine. Ipazia fu barbaramente uccisa ad Alessandria d’Egitto l’otto marzo del 415 dopo Cristo. "Venne fatta a pezzi dal clero di Alessandria per compiacere l'orgoglio, l'emulazione e la crudeltà del loro Vescovo"[1] Cirillo, successivamente proclamato santo. "L'invidia si armò contro di lei. Alcuni, dall'animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario: qui, strappatale la veste, la uccisero colpendola con i cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati questi pezzi al cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia di lei nel fuoco"[2].

Ipazia fu uccisa per la sua autorevolezza. Fu assassinata, brutalmente, per invidia e gelosia e, sicuramente, il suo essere donna fu un aggravante per la sua posizione di persona di libero pensiero. Ipazia è considerata una vittima del fanatismo religioso, dei giochi di potere e una martire del pensiero scientifico.

Ma chi era veramente Ipazia d’Alessandria? Era una scienziata e una filosofa. Una delle prime donne scienziate dell’antichità, se non addirittura la prima. Fu tra i più importanti protagonisti di un movimento di rinascita politica e culturale che si ispirava ai valori della tradizione classica e si contrapponeva alla politica della chiesa gerarchica degli episcopi. Da alcuni suoi contemporanei fu riconosciuta come la terza grande caposcuola del platonismo dopo Platone e Plotino. Fu l’ultima grande astronoma dell’antica scuola matematica di Alessandria. Senza ombra di dubbio Ipazia era una donna eccezionale.

Purtroppo non possiamo leggere gli scritti di Ipazia, sono tutti andati perduti dopo l’ennesimo incendio della biblioteca di Alessandria e la distruzione del Serapeo, la biblioteca minore della città. Tutti i contributi della scuola alessandrina furono bruciati a seguito dei decreti emessi da Teodosio I tra il 391 dC e 392 dC. Possiamo solo rifarci ai frammenti del suo pensiero desumibili dalle lettere e dagli scritti degli studiosi dell’epoca. Ci si riferisce, in particolare, agli scritti di Sinesio di Cirene, l'allievo più caro d'Ipazia, al quale si devono molte delle notizie della vita e delle opere della scienziata alessandrina, ma anche ai trattati degli storici Socrate Scolastico, Damascio, Filostorgio e Sozomeno.

Ipazia nacque ad Alessandria d’Egitto intorno al 370. Fu introdotta alla filosofia dal padre, Teone, insegnante della scuola d’Alessandria. Iniziò il suo percorso culturale dallo studio delle scienze matematiche – che, secondo la concezione platonica, sono le scienze propedeutiche alla filosofia – per poi giungere alle scienze filosofiche. Negli anni succedette al padre nell'insegnamento di queste discipline nella comunità alessandrina e, già nel 393 dC, era a capo della scuola d’Alessandria, insegnando a suoi allievi a considerare la filosofia “uno stile di vita, una costante, religiosa e disciplinata ricerca della verità”[3].

Ipazia è stata l’antesignana della scienza sperimentale: studiò e realizzò l’astrolabio piatto (per localizzare o calcolare la posizione di corpi celesti), l'idroscopio (per misurare il peso dei liquidi) e l'aerometro (per determinare i gradi della rarefazione o della condensazione di un dato volume d’aria). Lei stessa non considerava l'opera di Tolomeo come l'ultima e definitiva parola in fatto di conoscenza del cosmo, al contrario, essa era ritenuta una semplice ipotesi matematica ed era necessario proseguire ed approfondire le ricerche, per giungere alla comprensione della natura e della disposizione dell'universo.

In ambito filosofico, secondo Socrate Scolastico “ella giunse ad un tale grado di cultura, che superò di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei, da ogni parte, tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico”[4]. Ma ciò che all’epoca rese grande Ipazia fu che non impegnò solo la sua vita a studiare di matematiche, di astronomia e di filosofia, non riservò solo la conoscenza per sé o per pochi eletti, ma al contrario la dispensò a quanti stavano attorno a lei con liberalità e generosità. Ipazia “gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo”[5].

Anche o forse soprattutto per questo fu barbaramente uccisa. Il fondamentalismo religioso vedeva in lei una nemica del cristianesimo. I fondamentalisti temevano che la sua filosofia e la sua libertà di pensiero rappresentassero un’influenza pagana sulla comunità cristiana di Alessandria.

Questo delitto segnò la fine del paganesimo, una profonda ferita per la scienza e per la dignità stessa delle donne. Come scrisse Pascal, Ipazia fu “l’ultimo fiore meraviglioso della gentilezza e della scienza ellenica”[6]. Con lei, ultima erede della scuola alessandrina, cessa di esistere la più importante comunità scientifica della storia dove avevano studiato Archimede, Aristraco di Samo, Eratostene, Ipparco, Euclide, Tolomeo… e tutti i geni che hanno gettato le fondamenta del sapere scientifico universale.

In conclusione, Ipazia fu maestra di un sapere scientifico le cui origini risalgono ad almeno mille anni prima e che il crollo del mondo ellenico e il trionfo del cristianesimo seppellirà per molti secoli, sino al nascere della scienza moderna, da Galileo in poi. La sua storia, ancora oggi, dovrebbe far riflettere su come i dogmi - ideologici, religiosi o di qualsiasi altra natura - siano nemici della conoscenza, della libertà di pensiero e dell'evoluzione.

NOTE

[1] John Toland, Ipazia. Donna colta e bellissima fatta a pezzi dal clero, a cura di F. Turriziani Colonna, Firenze, Clinamen, 2009

[2] Socrate Scolastico, cit., VII, 15

[3] Jay Bregman, Synesius of Cyrene. Philosopher Bishop, 1982, p. 28.

[4] Socrate Scolastico, cit., VII, 15

[5] Damascio, Vita Isidori 77, pp. 1-8.

[6] B. Pascal, Les pensées (Pensieri), 1670.